“UN CONCETTO PIU' AMPIO DI SALUTE”
Una Medicina Centrata sulla Persona riesce a dare equilibrio psicofisico all'individuo e rappresenta il trampolino di lancio per un equilibrio sostenibile sociale per le società attuali e future.
L'essere umano è il risultato di INFINITE INTERAZIONI. Prendere in considerazione la globalità dell'essere umano (...) è alla base di quelle capacità di ascolto, valutazione, trattamento che sono lo spirito ed il motore di un approccio Centrato sulla Persona e non solo sul sintomo.
tratto da: "I MERIDIANI SHIATSU-ATLANTE" ed. Edra, autore Fabio Zagato (prefazione Paolo Roberti di Sarsina)
Una Medicina Centrata sulla Persona riesce a dare equilibrio psicofisico all'individuo e rappresenta il trampolino di lancio per un equilibrio sostenibile sociale per le società attuali e future.
L'essere umano è il risultato di INFINITE INTERAZIONI. Prendere in considerazione la globalità dell'essere umano (...) è alla base di quelle capacità di ascolto, valutazione, trattamento che sono lo spirito ed il motore di un approccio Centrato sulla Persona e non solo sul sintomo.
tratto da: "I MERIDIANI SHIATSU-ATLANTE" ed. Edra, autore Fabio Zagato (prefazione Paolo Roberti di Sarsina)
ARTICOLO: Una spiegazione neurobiologica degli effetti del tatto sul sistema immunitario (1990)
Ruth Rice (*)
Esistono prove sostanziali che indicano come il tatto sia coinvolto nel funzionamento del sistema immunitario. Il sistema immunitario è complesso, costituito da molteplici elementi. La regolazione del sistema immunitario è egualmente complessa. E' dimostrato che il sistema nervoso centrale – e qualsiasi fattore che lo alteri - ha un potenziale effetto sulle funzioni del sistema immunitario. Altre strette relazioni sono state individuate tra il sistema immunitario e il comportamento, il sonno, i ritmi circadiani, i fattori nutrizionali e le esperienze stressanti. Il ruolo della pelle nell'espressione di reazioni immunitarie è conosciuto da tempo.(1)
Le scoperte della neuroscienza hanno determinato una importante svolta concettuale perché si è capito che la funzione mente/corpo è modulata e regolata da agenti chimici e da neurotrasmettitori che influenzano il sistema immunitario.
Le endorfine svolgono un ruolo importante nel complesso equilibrio ormonale durante le doglie, il parto e l'attaccamento. (2) E' l'alto livello di endorfine a provocare le onde cerebrali alfa - associate a stati di serenità, piacere e sollievo dal dolore - verificato dal dr. Michel Odent nella sua sala parto.(2,3) Si è ipotizzato che l'aumento del rilascio di endorfine, e di altri peptidi oppiati che procurano sensazioni euforiche spesso avvertite nello stato di coscienza alfa, attivino il sistema immunitario del bambino durante le doglie e il parto e ne avviino il funzionamento. In una nascita normale, non medicatalizzata, in cui la madre vive una condizione di serenità e omeostasi, si determina una soppressione di cortisolo e di altri fattori chimici che sono relativi allo stress e funzionano da soppressori del sistema immunitario. La suzione del bambino dal seno materno attiva ulteriormente il rilascio di ormoni, uno dei quali si ritiene possa essere il thymosin, che attiva ulteriormente il sistema immunitario del bambino. L'atto della suzione coinvolge il funzionamento del sistema limbico, nonché‚ di quello endocrino, poiché sia la madre che il neonato provano emozioni piacevoli. In tal modo viene messa in moto la rete interrelazionale fra il cervello (nel suo insieme, ndt) e il sistema limbico, che è in grado di attivare il sistema endocrino e di agire su quello immunitario.(3) La reazione allo stress è l'attivazione del sistema endocrino, e specificamente il rilascio di sostanze nella rete ipotalamica pituitaria-adrenalinica, come ad esempio il rilascio di cortisolo, un potente immunosoppressore, che se perdura può causare rallentamenti nella crescita e nella riparazione tissutale e comporta seri rischi per l'organismo.(1)
A prima vista, il rapporto fra mente e corpo si presenta complesso, e il mondo della ricerca in campo neurormonale è in fermento. Si fanno nuove ipotesi e nuove scoperte, ma una convinzione comune è che il cervello, il sistema endocrino e quello immunitario siano accortamente interconnessi, e vengano influenzati dal sistema limbico, ovvero la sede delle emozioni nel cervello. Tali sistemi formano le principali vie che si dipartono dall'ipotalamo ("un cervello dentro un cervello"), il quale controlla l'aumento di peso, la crescita, la respirazione, l'equilibrio dei liquidi, il sonno, le attività viscerali e regola, in generale, il funzionamento dell'organismo. Inoltre, una ricerca di Candice Pert ha concluso che i neuropeptidi (endorfine) e i loro recettori collegano il cervello al corpo, rappresentando il sostrato biochimico delle emozioni. (4)
Vi sono particolari punti del corpo che presentano una alta concentrazione di neuropeptidi e agenti chimici. Queste zone - denominate punti nodali - hanno una distribuzione anatomica a macchie, in cui convergono i recettori dei neuropeptidi e costituiscono la via di accesso degli input sensoriali. Un punto nodale è il corno posteriore del midollo spinale. E' questa la prima sinapsi del sistema nervoso centrale in cui viene elaborata l'informazione tattilo-sensoriale. La stimolazione tattile su un bambino, quale il massaggio o il Loving Touch, e l’accarezzamento della colonna vertebrale dovrebbero avere l'effetto di stimolare il punto nodale situato in quella regione con una alta concentrazione di neuropeptidi. I neuropeptidi attivati invierebbero messaggi all'ipotalamo e al sistema immunitario, che a loro volta avvierebbero i processi di guarigione, stimolerebbero l'aumento di peso, regolerebbero il sonno e le funzioni respiratorie. Esperienze sensoriali nella vita del bambino capaci di tranquillizzare e nutrire emotivamente, quali l'avvicinamento al petto nudo della madre, il Loving Touch, l'ascolto di suoni rilassanti e qualsiasi fattore possa sollecitare emozioni piacevoli nel neonato - metterebbero in moto il sistema limbico ed avvierebbero la connessione ciclica fra il sistema endocrino e quello immunitario, creando le condizioni per uno stato di salute ottimale.
Ciò può avere profonde conseguenze sulla crescita e lo sviluppo di un bambino messo in incubatrice.
(*) Prima parte di un articolo tratto da Neonatal Intensive Care Infant Stress: perinatal approaches to cause, effect, solutions. A Series of Lectures by Ruth D. Rice. Cradle Care Institute, June 1990, Dallas,Texas.
Note bibliografiche
1. Reite M., Harbeck R., and Hoffman S. (1981). Altered cellular immune response following maternal separation. Life Sciences 28, 1133-1136.
2. Odent, Michel. (1984). Birth Reborn, 13-14. Pantheon Books, New York. 3. Goland R., Wardlow S., Stark R., and Frantz A. (1981). Homan plasma betaendorphin during pregnancy, labor, and delivery. Jn. oF Clinical Endocrinology and Metabolism, 52, 1, 74-78.
4. Pert, Candice (1987). Neuropeptides: The emotions and bodynind. Noetic Sciences Revuew, 2, 13-18
si ringrazia: Centro Studi Eva REICH
Ruth Rice (*)
Esistono prove sostanziali che indicano come il tatto sia coinvolto nel funzionamento del sistema immunitario. Il sistema immunitario è complesso, costituito da molteplici elementi. La regolazione del sistema immunitario è egualmente complessa. E' dimostrato che il sistema nervoso centrale – e qualsiasi fattore che lo alteri - ha un potenziale effetto sulle funzioni del sistema immunitario. Altre strette relazioni sono state individuate tra il sistema immunitario e il comportamento, il sonno, i ritmi circadiani, i fattori nutrizionali e le esperienze stressanti. Il ruolo della pelle nell'espressione di reazioni immunitarie è conosciuto da tempo.(1)
Le scoperte della neuroscienza hanno determinato una importante svolta concettuale perché si è capito che la funzione mente/corpo è modulata e regolata da agenti chimici e da neurotrasmettitori che influenzano il sistema immunitario.
Le endorfine svolgono un ruolo importante nel complesso equilibrio ormonale durante le doglie, il parto e l'attaccamento. (2) E' l'alto livello di endorfine a provocare le onde cerebrali alfa - associate a stati di serenità, piacere e sollievo dal dolore - verificato dal dr. Michel Odent nella sua sala parto.(2,3) Si è ipotizzato che l'aumento del rilascio di endorfine, e di altri peptidi oppiati che procurano sensazioni euforiche spesso avvertite nello stato di coscienza alfa, attivino il sistema immunitario del bambino durante le doglie e il parto e ne avviino il funzionamento. In una nascita normale, non medicatalizzata, in cui la madre vive una condizione di serenità e omeostasi, si determina una soppressione di cortisolo e di altri fattori chimici che sono relativi allo stress e funzionano da soppressori del sistema immunitario. La suzione del bambino dal seno materno attiva ulteriormente il rilascio di ormoni, uno dei quali si ritiene possa essere il thymosin, che attiva ulteriormente il sistema immunitario del bambino. L'atto della suzione coinvolge il funzionamento del sistema limbico, nonché‚ di quello endocrino, poiché sia la madre che il neonato provano emozioni piacevoli. In tal modo viene messa in moto la rete interrelazionale fra il cervello (nel suo insieme, ndt) e il sistema limbico, che è in grado di attivare il sistema endocrino e di agire su quello immunitario.(3) La reazione allo stress è l'attivazione del sistema endocrino, e specificamente il rilascio di sostanze nella rete ipotalamica pituitaria-adrenalinica, come ad esempio il rilascio di cortisolo, un potente immunosoppressore, che se perdura può causare rallentamenti nella crescita e nella riparazione tissutale e comporta seri rischi per l'organismo.(1)
A prima vista, il rapporto fra mente e corpo si presenta complesso, e il mondo della ricerca in campo neurormonale è in fermento. Si fanno nuove ipotesi e nuove scoperte, ma una convinzione comune è che il cervello, il sistema endocrino e quello immunitario siano accortamente interconnessi, e vengano influenzati dal sistema limbico, ovvero la sede delle emozioni nel cervello. Tali sistemi formano le principali vie che si dipartono dall'ipotalamo ("un cervello dentro un cervello"), il quale controlla l'aumento di peso, la crescita, la respirazione, l'equilibrio dei liquidi, il sonno, le attività viscerali e regola, in generale, il funzionamento dell'organismo. Inoltre, una ricerca di Candice Pert ha concluso che i neuropeptidi (endorfine) e i loro recettori collegano il cervello al corpo, rappresentando il sostrato biochimico delle emozioni. (4)
Vi sono particolari punti del corpo che presentano una alta concentrazione di neuropeptidi e agenti chimici. Queste zone - denominate punti nodali - hanno una distribuzione anatomica a macchie, in cui convergono i recettori dei neuropeptidi e costituiscono la via di accesso degli input sensoriali. Un punto nodale è il corno posteriore del midollo spinale. E' questa la prima sinapsi del sistema nervoso centrale in cui viene elaborata l'informazione tattilo-sensoriale. La stimolazione tattile su un bambino, quale il massaggio o il Loving Touch, e l’accarezzamento della colonna vertebrale dovrebbero avere l'effetto di stimolare il punto nodale situato in quella regione con una alta concentrazione di neuropeptidi. I neuropeptidi attivati invierebbero messaggi all'ipotalamo e al sistema immunitario, che a loro volta avvierebbero i processi di guarigione, stimolerebbero l'aumento di peso, regolerebbero il sonno e le funzioni respiratorie. Esperienze sensoriali nella vita del bambino capaci di tranquillizzare e nutrire emotivamente, quali l'avvicinamento al petto nudo della madre, il Loving Touch, l'ascolto di suoni rilassanti e qualsiasi fattore possa sollecitare emozioni piacevoli nel neonato - metterebbero in moto il sistema limbico ed avvierebbero la connessione ciclica fra il sistema endocrino e quello immunitario, creando le condizioni per uno stato di salute ottimale.
Ciò può avere profonde conseguenze sulla crescita e lo sviluppo di un bambino messo in incubatrice.
(*) Prima parte di un articolo tratto da Neonatal Intensive Care Infant Stress: perinatal approaches to cause, effect, solutions. A Series of Lectures by Ruth D. Rice. Cradle Care Institute, June 1990, Dallas,Texas.
Note bibliografiche
1. Reite M., Harbeck R., and Hoffman S. (1981). Altered cellular immune response following maternal separation. Life Sciences 28, 1133-1136.
2. Odent, Michel. (1984). Birth Reborn, 13-14. Pantheon Books, New York. 3. Goland R., Wardlow S., Stark R., and Frantz A. (1981). Homan plasma betaendorphin during pregnancy, labor, and delivery. Jn. oF Clinical Endocrinology and Metabolism, 52, 1, 74-78.
4. Pert, Candice (1987). Neuropeptides: The emotions and bodynind. Noetic Sciences Revuew, 2, 13-18
si ringrazia: Centro Studi Eva REICH
La scienza dello shiatsu
la PNEI e le discipline corporee
PSICO NEURO ENDOCRINO IMMUNOLOGIA
SHIATSU e bimbi
- Dall’esperienza pluriennale di un ampio gruppo di Insegnanti I.R.T.E. è nata l’area di ricerca “Shiatsu e bambini-ragazzi-adolescenti“.
Stiamo parlando non solo del trattamento Shiatsu al bambino, ma di laboratori pensati per i più o meno piccoli da tenere presso asili, scuole, associazioni. Questi laboratori sono caratterizzati da uno sviluppo specifico ed unico attraverso giochi ed esperienze di gruppo. Lo scopo è di proporre nel mondo educativo una nuova modalità di contatto corporeo per i piccoli ma anche per educatori/insegnanti e genitori.
Lo Shiatsu offre un’occasione di ascolto e di relazione nuova tra i bambini/ragazzi, un modo di vivere la corporeità senza competizione, dove la conoscenza di sé, anche attraverso i compagni, può diventare stimolo ad una vita sociale più armoniosa, nel rispetto dei propri ed altrui spazi personali.
La codifica di queste esperienze ha dato il via ad una serie di moduli di perfezionamento post diploma riservato ai nostri operatori-istruttori diplomati I.R.T.E..
Se avete curiosità sull’argomento o gestite un centro/associazione e volete approfondire la tematica o proporre laboratori Shiatsu presso la vostra struttura, potete contattarci.
Vi invitiamo anche alla lettura degli articoli “Lo Shiatsu e i bambini Il giovane mondo da scoprire tramite il contatto” e “Il concepimento e la gravidanza. Il momento dal nulla alla vita” scritti dall’insegnante Arianna Cioverchia.
shiatsu e fibromialgia: due casi e qualche riflessione
Shiatsu e fibromialgia: due casi e qualche riflessione.
Articolo di Fabrizio Falaschi e Veronica Dolfi
Operatori e Insegnanti Shiatsu
La fibromialgia è un disturbo che colpisce muscoli e tessuti fibrosi (tendini e legamenti), causando dolore e rigidità muscolari diffusi, spesso associati a cefalea, astenia, disturbi dell’umore e del sonno. Può lo shiatsu avere effetti benefici nelle persone affette da questa sindrome spesso pesantemente invalidante? Recenti studi hanno tentato di rispondere a questa domanda utilizzando i criteri della ricerca scientifica.
Il Department of Physical Therapy, Occupational Therapy and Speech Therapy della Scuola di Medicina dell’Università di San Paolo del Brasile, nel 2013 ha condotto uno studio pilota controllato sugli effetti dello shiatsu nella gestione dei sintomi della fibromialgia, con risultati considerati “clinicamente rilevanti” in relazione alla soglia del dolore alla pressione, agli indici di qualità del sonno e alla soddisfazione dei pazienti in termini di percezione dell’impatto dei sintomi sul proprio stato di salute[1].
Nel 2015, un altro gruppo di studiosi dello stesso Istituto ha pubblicato i risultati di una ricerca sull’impatto di diverse tipologie di massaggio e di trattamenti corporei in pazienti fibromialgici. La raccolta dati, durata 13 anni e condotta su dieci studi (randomizzati e non), ha portato alla conclusione che “lo shiatsu migliora la percezione del dolore, la soglia dello stesso alla pressione, l’affaticamento, il sonno e – più in generale – la qualità della vita”[2].
Nei nostri studi di operatori shiatsu riceviamo spesso persone affette da sindrome fibromialgica. Vogliamo qui soffermarci su due recenti casi, illustrandone i risultati ottenuti e traendone qualche spunto di riflessione.
Liberarsi dalla gabbia.
La signora A.F., 50 anni, giunge in studio lamentando di sentirsi “rigida come una tavola di legno”, con continui dolori muscolari e articolari che identifica come insorti cinque anni prima. Le disarmonie riportate sono quelle tipiche della sindrome fibromialgica: irrigidimento e tensioni muscolari accompagnati da dolori diffusi e continui, disturbi del sonno (percepito come “superficiale e non ristoratore”), difficoltà di assorbimento del cibo (A.F. lamenta di accumulare peso pur mangiando poco). Ad una iniziale valutazione dell’addome, effettuata secondo la metodologia codificata da Masunaga[3], le aree energetiche addominali più sofferenti sono quelle di Stomaco e Milza-Pancreas, che – qui semplificando a solo scopo esplicativo – si presentano rispettivamente in eccesso ed in carenza di energia.
A.F. si sottopone ad un ciclo di otto trattamenti a cadenza settimanale. Alla terza seduta percepisce un generico “miglioramento” sul piano fisico, “senso di rilassamento” e “contenimento” dei dolori. Al quarto incontro i dolori si riacutizzano per poi ritornare su livelli sopportabili nelle due successive sedute. Al termine del ciclo, A.F. riporta che i dolori sono calati, percepiti come “contratture sostenibili, non invalidanti, che passano solitamente con una doccia calda”.
Se i riporti di A.F. sulla sintomatologia fisica sembrano confermare la validità dei recenti studi sopra citati, di ben più significativa portata ci sembra il percorso fatto dal ricevente sul piano mentale e psichico durante il ciclo di trattamenti. A.F. arriva in studio in una condizione emotiva fortemente oscillante, dove picchi di rabbia verso la propria condizione si alternano a momenti di prostrazione e di resa. Nel corso dei colloqui tenuti durante le prime sedute, A.F. riferisce di sentirsi come “bloccata in una gabbia, senza via di uscita”. Lentamente, nel corso degli incontri, la ricevente ricostruisce la sua “storia di vita”, risalendo a quella che identifica come la causa primaria del suo malessere: una situazione coniugale difficile, costellata di violenze fisiche e psicologiche ed aggravata da uno stato di forte dipendenza economica, peggiorata a seguito di un incidente occorso cinque anni prima, dopo il quale emergono i primi sintomi fibromialgici.
Ecco quindi prendere forma e contorni quella gabbia senza via di uscita in cui A.F. si percepisce, una condizione di “prigionia mentale e fisica” cui la ricevente comincia però lentamente a reagire: dopo due trattamenti, A.F. riferisce un “miglioramento dell’attenzione” ed una “maggior capacità di focalizzazione sui progetti di vita”, in particolar modo la ricerca di un impiego. Al quinto trattamento A.F. ha trovato lavoro e giura a se stessa di non mettersi più “in condizioni di ricatto economico”, al sesto anche la condizione emotiva si stabilizza, riducendosi la forbice tra alti e bassi.
Al termine del ciclo di trattamenti, A.F. non ha “risolto” la sua condizione fibromialgica, ma ha cominciato a metterne a fuoco le sue probabili radici profonde, cominciando a rielaborarle, prendendo in carico se stessa e la propria salute. Accennavamo sopra allo stato disarmonico delle aree energetiche di Stomaco e Milza-Pancreas riscontrato al primo incontro. Secondo la Medicina Tradizionale Cinese, queste aree afferiscono alla Terra, movimento energetico deputato all’accoglimento di quanto viene dall’esterno, alla sua trasformazione e successiva elaborazione, proprio come quel cibo che A.F. lamenta di mangiare senza metabolizzare. Uno degli analoghi principali di questo movimento è la lucidità mentale, necessaria per lo scambio e l’elaborazione esterno/interno: un altro punto debole (la “mancanza di focalizzazione”) percepito da A.F. fin dall’inizio del ciclo di trattamenti, che via via viene affrontato, fino al rafforzamento della spinta volitiva verso l’affrancamento da una situazione di “prigionia” economica e psicologica (la ricerca di un lavoro che, finalmente, ha successo).
Il termine del ciclo di trattamenti non ci consente di osservare oltre il percorso di vita del ricevente, ma un dato sembra rilevante: A.F. ha percepito un miglioramento della qualità della sua vita, sul piano della sintomatologia fisica ma anche – e questo ci sembra un risultato dalla portata ancora maggiore – su quello più sottiledella condizione emotiva, che ha seguito vie del tutto peculiari e personali, avulse da qualsiasi rapporto meccanicistico causa-effetto tra intervento esterno (in questo caso l’operatore shiatsu) e benefici sulla propria condizione e percezione di sé.
Tornare a sognare.
La signora M.D., 55 anni, lamenta di soffrire da diversi anni di disturbi fibromialgici: contratture muscolari continue, dolori, sensazioni di freddo, rigidità, pruriti e bruciori, unitamente a difficoltà a dormire e a perdere peso (M.D. è in sovrappeso e non riesce a dimagrire, malgrado numerose diete). Alla palpazione, le aree energetiche addominali e dorsali più disarmoniche sono quelle di Cistifellea e Polmone, entrambe fortemente rigonfie (condizione di eccesso energetico).
M.D. comincia nell’estate del 2017 un ciclo di trattamenti a cadenza settimanale. Fin dal secondo incontro riferisce di percepire “maggior energia” e di “dormire meglio” nelle 24/36 ore successive al trattamento. Con il progredire delle sedute, i benefici percepiti si prolungano anche oltre questo lasso di tempo, anche se la loro portata torna a diminuire se l’intervallo tra una seduta e l’altra oltrepassa, per vari motivi, la settimana. Altri disturbi trovano sollievo nel corso delle sedute: contratture muscolari, gonfiore alle caviglie, bruciori e pruriti, dolori artritici, iper-sudorazione notturna e tendenza a stancarsi facilmente, nella percezione della ricevente segnano tutti, pur con episodi di ricaduta, un miglioramento definito come “sensibile”. Oggi, dopo circa 30 trattamenti, M.D. riporta che la situazione è quella di una “contrattura generica”, una sensazione di “rigidità generale” non più focalizzata su specifici punti o distretti corporei, pertanto più “gestibile”.
Se anche i riporti di M.D. sembrano convalidare gli studi dell’Università di San Paolo del Brasile, degni di altrettanta considerazione appaiono altresì i processi psichico-emotivi da lei vissuti e riferiti. M.D. si presentava al primo trattamento in una condizione emotiva fortemente scissa: da una parte viveva stati vicini alla depressione, una tristezza che si leggeva negli occhi, nella postura, nell’eloquio; dall’altra scattava in momenti d’ira impetuosi e intensi, a volte anche nel corso della seduta stessa. Un condizione dicotomica, questa, che sembra rispecchiare lo stato delle aree di Cistifellea e Polmone sopra citate, descritte dalla Medicina Tradizionale Cinese come espressioni energetiche, rispettivamente, di situazioni di rabbia covata e inespressa e di stati di prostrazione psichica (dai più leggeri a quelli, più gravi, depressivi).
Nel corso dei colloqui, M.D. riannoda i fili della sua “storia”, individua i suoi vissuti più difficili e comincia a collegare ad essi l’aggravarsi o il migliorare della sintomatologia fibromialgica: tra questi si stagliano una situazione di mobbing continuo sul lavoro e, soprattutto, la condizione di forte handicap di suo figlio, che affronta da quasi 20 anni. M.D. collega le sue condizioni di salute a questi vissuti: quando riesce a gestirli si sente bene anche fisicamente, quando peggiorano – o non riesce a farvi fronte – le sensazioni di contrattura muscolare e i dolori connessi aumentano, accompagnati da scatti di rabbia che, una volta esauritisi, la fanno ripiombare nello scoramento, in un rimbalzare continuo tra disarmonie fisiche e psicologiche.
Anche la percezione del proprio corpo si approfondisce. M.D. riporta ad esempio che un giorno, uscita dallo studio dopo un trattamento, si è sentita “leggera”, aggiungendo “solo allora mi sono accorta di quanto prima fossi contratta”: percependo coscientemente la “decontrattura possibile”, comprende quanto fino ad allora avesse invece considerato e vissuto la contrattura come la “normalità”, e questo è un passo importante verso la presa in carico e cura di sé.
Trattamento dopo trattamento, M.D. riconosce i suoi vissuti, li prende in mano e comincia a lavorarci. Inizia con maggior determinazione una nuova dieta che, pur tra alti e bassi, la porta a perdere una piccola quota di peso, riferisce di riuscire sempre più a gestire la rabbia, si iscrive ad un corso di arti marziali per principianti che la aiuta a “centrarsi” e a “focalizzarsi”. Progressivamente, la sera comincia a fare esercizi di rilassamento e di respirazione, ottenendo un miglioramento percepibile del sonno e tornando a ricordare i sogni, aspetto per lei molto importante: percepiti come una “grande valvola di sfogo” per tutta la sua vita, M.D. da mesi non ricordava più i sogni, soffrendone in maniera significativa.
Come già A.F., anche M.D. ha quindi intrapreso un percorso di discesa dentro di sé, di comprensione delle motivazioni profonde delle sue disarmonie, cominciando ad elaborarle ed affrontarle, con cambiamenti nello stile di vita che impattano anche nella sfera più sottile (la decisione di iniziare una nuova dieta, quella di iscriversi ad un corso di arti marziali, la miglior gestione della rabbia e la ripresa dell’attività onirica). Ora, quando si presenta in studio per parlare della sua settimana, M.D. non esordisce più dicendo “sono sempre stanca”: le sue parole sono più vitali e speranzose. E frasi come “finalmente dormo di nuovo con i miei sogni”, “le mie amiche mi vedono così bene”, “mi piace tanto muovermi veloce come quando avevo 30 anni” rendono bene l’idea di come lo shiatsu, prima ancora di aver risolto la sua patologia, ha accompagnato M.D. in un diverso approccio alla propria salute, che passa innanzitutto verso la riconnessione con se stessa.
[1] Susan L.K. Yuan, Ana A. Berssaneti e Amelia P. Marques, “Effects of shiatsu in the management of fibromyalgia symptoms: a controlled pilot study”, Journal of manipulative and physiological therapeutics, 2013
[2] Susan L.K. Yuan, Luciana A. Matsutani e Amélia P. Marques, “Effectiveness of different styles of massage therapy in fibromyalgia: a systematic review and meta-analysis”, Journal of manipulative and physiological therapeutics, 2015
[3] Shizuto Masunaga (1925 – 1981) è uno dei padri fondatori del moderno shiatsu. Lo Iokai Shiatsu Center, Istituto di ricerca da lui creato nel 1968 a Tokyo, ha esercitato una notevole influenza anche fuori del Giappone, diffondendo negli anni ’70 e ’80 lo shiatsu specialmente in Europa, dove lo stile Masunaga è attualmente quello predominante.
Articolo di Fabrizio Falaschi e Veronica Dolfi
Operatori e Insegnanti Shiatsu
La fibromialgia è un disturbo che colpisce muscoli e tessuti fibrosi (tendini e legamenti), causando dolore e rigidità muscolari diffusi, spesso associati a cefalea, astenia, disturbi dell’umore e del sonno. Può lo shiatsu avere effetti benefici nelle persone affette da questa sindrome spesso pesantemente invalidante? Recenti studi hanno tentato di rispondere a questa domanda utilizzando i criteri della ricerca scientifica.
Il Department of Physical Therapy, Occupational Therapy and Speech Therapy della Scuola di Medicina dell’Università di San Paolo del Brasile, nel 2013 ha condotto uno studio pilota controllato sugli effetti dello shiatsu nella gestione dei sintomi della fibromialgia, con risultati considerati “clinicamente rilevanti” in relazione alla soglia del dolore alla pressione, agli indici di qualità del sonno e alla soddisfazione dei pazienti in termini di percezione dell’impatto dei sintomi sul proprio stato di salute[1].
Nel 2015, un altro gruppo di studiosi dello stesso Istituto ha pubblicato i risultati di una ricerca sull’impatto di diverse tipologie di massaggio e di trattamenti corporei in pazienti fibromialgici. La raccolta dati, durata 13 anni e condotta su dieci studi (randomizzati e non), ha portato alla conclusione che “lo shiatsu migliora la percezione del dolore, la soglia dello stesso alla pressione, l’affaticamento, il sonno e – più in generale – la qualità della vita”[2].
Nei nostri studi di operatori shiatsu riceviamo spesso persone affette da sindrome fibromialgica. Vogliamo qui soffermarci su due recenti casi, illustrandone i risultati ottenuti e traendone qualche spunto di riflessione.
Liberarsi dalla gabbia.
La signora A.F., 50 anni, giunge in studio lamentando di sentirsi “rigida come una tavola di legno”, con continui dolori muscolari e articolari che identifica come insorti cinque anni prima. Le disarmonie riportate sono quelle tipiche della sindrome fibromialgica: irrigidimento e tensioni muscolari accompagnati da dolori diffusi e continui, disturbi del sonno (percepito come “superficiale e non ristoratore”), difficoltà di assorbimento del cibo (A.F. lamenta di accumulare peso pur mangiando poco). Ad una iniziale valutazione dell’addome, effettuata secondo la metodologia codificata da Masunaga[3], le aree energetiche addominali più sofferenti sono quelle di Stomaco e Milza-Pancreas, che – qui semplificando a solo scopo esplicativo – si presentano rispettivamente in eccesso ed in carenza di energia.
A.F. si sottopone ad un ciclo di otto trattamenti a cadenza settimanale. Alla terza seduta percepisce un generico “miglioramento” sul piano fisico, “senso di rilassamento” e “contenimento” dei dolori. Al quarto incontro i dolori si riacutizzano per poi ritornare su livelli sopportabili nelle due successive sedute. Al termine del ciclo, A.F. riporta che i dolori sono calati, percepiti come “contratture sostenibili, non invalidanti, che passano solitamente con una doccia calda”.
Se i riporti di A.F. sulla sintomatologia fisica sembrano confermare la validità dei recenti studi sopra citati, di ben più significativa portata ci sembra il percorso fatto dal ricevente sul piano mentale e psichico durante il ciclo di trattamenti. A.F. arriva in studio in una condizione emotiva fortemente oscillante, dove picchi di rabbia verso la propria condizione si alternano a momenti di prostrazione e di resa. Nel corso dei colloqui tenuti durante le prime sedute, A.F. riferisce di sentirsi come “bloccata in una gabbia, senza via di uscita”. Lentamente, nel corso degli incontri, la ricevente ricostruisce la sua “storia di vita”, risalendo a quella che identifica come la causa primaria del suo malessere: una situazione coniugale difficile, costellata di violenze fisiche e psicologiche ed aggravata da uno stato di forte dipendenza economica, peggiorata a seguito di un incidente occorso cinque anni prima, dopo il quale emergono i primi sintomi fibromialgici.
Ecco quindi prendere forma e contorni quella gabbia senza via di uscita in cui A.F. si percepisce, una condizione di “prigionia mentale e fisica” cui la ricevente comincia però lentamente a reagire: dopo due trattamenti, A.F. riferisce un “miglioramento dell’attenzione” ed una “maggior capacità di focalizzazione sui progetti di vita”, in particolar modo la ricerca di un impiego. Al quinto trattamento A.F. ha trovato lavoro e giura a se stessa di non mettersi più “in condizioni di ricatto economico”, al sesto anche la condizione emotiva si stabilizza, riducendosi la forbice tra alti e bassi.
Al termine del ciclo di trattamenti, A.F. non ha “risolto” la sua condizione fibromialgica, ma ha cominciato a metterne a fuoco le sue probabili radici profonde, cominciando a rielaborarle, prendendo in carico se stessa e la propria salute. Accennavamo sopra allo stato disarmonico delle aree energetiche di Stomaco e Milza-Pancreas riscontrato al primo incontro. Secondo la Medicina Tradizionale Cinese, queste aree afferiscono alla Terra, movimento energetico deputato all’accoglimento di quanto viene dall’esterno, alla sua trasformazione e successiva elaborazione, proprio come quel cibo che A.F. lamenta di mangiare senza metabolizzare. Uno degli analoghi principali di questo movimento è la lucidità mentale, necessaria per lo scambio e l’elaborazione esterno/interno: un altro punto debole (la “mancanza di focalizzazione”) percepito da A.F. fin dall’inizio del ciclo di trattamenti, che via via viene affrontato, fino al rafforzamento della spinta volitiva verso l’affrancamento da una situazione di “prigionia” economica e psicologica (la ricerca di un lavoro che, finalmente, ha successo).
Il termine del ciclo di trattamenti non ci consente di osservare oltre il percorso di vita del ricevente, ma un dato sembra rilevante: A.F. ha percepito un miglioramento della qualità della sua vita, sul piano della sintomatologia fisica ma anche – e questo ci sembra un risultato dalla portata ancora maggiore – su quello più sottiledella condizione emotiva, che ha seguito vie del tutto peculiari e personali, avulse da qualsiasi rapporto meccanicistico causa-effetto tra intervento esterno (in questo caso l’operatore shiatsu) e benefici sulla propria condizione e percezione di sé.
Tornare a sognare.
La signora M.D., 55 anni, lamenta di soffrire da diversi anni di disturbi fibromialgici: contratture muscolari continue, dolori, sensazioni di freddo, rigidità, pruriti e bruciori, unitamente a difficoltà a dormire e a perdere peso (M.D. è in sovrappeso e non riesce a dimagrire, malgrado numerose diete). Alla palpazione, le aree energetiche addominali e dorsali più disarmoniche sono quelle di Cistifellea e Polmone, entrambe fortemente rigonfie (condizione di eccesso energetico).
M.D. comincia nell’estate del 2017 un ciclo di trattamenti a cadenza settimanale. Fin dal secondo incontro riferisce di percepire “maggior energia” e di “dormire meglio” nelle 24/36 ore successive al trattamento. Con il progredire delle sedute, i benefici percepiti si prolungano anche oltre questo lasso di tempo, anche se la loro portata torna a diminuire se l’intervallo tra una seduta e l’altra oltrepassa, per vari motivi, la settimana. Altri disturbi trovano sollievo nel corso delle sedute: contratture muscolari, gonfiore alle caviglie, bruciori e pruriti, dolori artritici, iper-sudorazione notturna e tendenza a stancarsi facilmente, nella percezione della ricevente segnano tutti, pur con episodi di ricaduta, un miglioramento definito come “sensibile”. Oggi, dopo circa 30 trattamenti, M.D. riporta che la situazione è quella di una “contrattura generica”, una sensazione di “rigidità generale” non più focalizzata su specifici punti o distretti corporei, pertanto più “gestibile”.
Se anche i riporti di M.D. sembrano convalidare gli studi dell’Università di San Paolo del Brasile, degni di altrettanta considerazione appaiono altresì i processi psichico-emotivi da lei vissuti e riferiti. M.D. si presentava al primo trattamento in una condizione emotiva fortemente scissa: da una parte viveva stati vicini alla depressione, una tristezza che si leggeva negli occhi, nella postura, nell’eloquio; dall’altra scattava in momenti d’ira impetuosi e intensi, a volte anche nel corso della seduta stessa. Un condizione dicotomica, questa, che sembra rispecchiare lo stato delle aree di Cistifellea e Polmone sopra citate, descritte dalla Medicina Tradizionale Cinese come espressioni energetiche, rispettivamente, di situazioni di rabbia covata e inespressa e di stati di prostrazione psichica (dai più leggeri a quelli, più gravi, depressivi).
Nel corso dei colloqui, M.D. riannoda i fili della sua “storia”, individua i suoi vissuti più difficili e comincia a collegare ad essi l’aggravarsi o il migliorare della sintomatologia fibromialgica: tra questi si stagliano una situazione di mobbing continuo sul lavoro e, soprattutto, la condizione di forte handicap di suo figlio, che affronta da quasi 20 anni. M.D. collega le sue condizioni di salute a questi vissuti: quando riesce a gestirli si sente bene anche fisicamente, quando peggiorano – o non riesce a farvi fronte – le sensazioni di contrattura muscolare e i dolori connessi aumentano, accompagnati da scatti di rabbia che, una volta esauritisi, la fanno ripiombare nello scoramento, in un rimbalzare continuo tra disarmonie fisiche e psicologiche.
Anche la percezione del proprio corpo si approfondisce. M.D. riporta ad esempio che un giorno, uscita dallo studio dopo un trattamento, si è sentita “leggera”, aggiungendo “solo allora mi sono accorta di quanto prima fossi contratta”: percependo coscientemente la “decontrattura possibile”, comprende quanto fino ad allora avesse invece considerato e vissuto la contrattura come la “normalità”, e questo è un passo importante verso la presa in carico e cura di sé.
Trattamento dopo trattamento, M.D. riconosce i suoi vissuti, li prende in mano e comincia a lavorarci. Inizia con maggior determinazione una nuova dieta che, pur tra alti e bassi, la porta a perdere una piccola quota di peso, riferisce di riuscire sempre più a gestire la rabbia, si iscrive ad un corso di arti marziali per principianti che la aiuta a “centrarsi” e a “focalizzarsi”. Progressivamente, la sera comincia a fare esercizi di rilassamento e di respirazione, ottenendo un miglioramento percepibile del sonno e tornando a ricordare i sogni, aspetto per lei molto importante: percepiti come una “grande valvola di sfogo” per tutta la sua vita, M.D. da mesi non ricordava più i sogni, soffrendone in maniera significativa.
Come già A.F., anche M.D. ha quindi intrapreso un percorso di discesa dentro di sé, di comprensione delle motivazioni profonde delle sue disarmonie, cominciando ad elaborarle ed affrontarle, con cambiamenti nello stile di vita che impattano anche nella sfera più sottile (la decisione di iniziare una nuova dieta, quella di iscriversi ad un corso di arti marziali, la miglior gestione della rabbia e la ripresa dell’attività onirica). Ora, quando si presenta in studio per parlare della sua settimana, M.D. non esordisce più dicendo “sono sempre stanca”: le sue parole sono più vitali e speranzose. E frasi come “finalmente dormo di nuovo con i miei sogni”, “le mie amiche mi vedono così bene”, “mi piace tanto muovermi veloce come quando avevo 30 anni” rendono bene l’idea di come lo shiatsu, prima ancora di aver risolto la sua patologia, ha accompagnato M.D. in un diverso approccio alla propria salute, che passa innanzitutto verso la riconnessione con se stessa.
[1] Susan L.K. Yuan, Ana A. Berssaneti e Amelia P. Marques, “Effects of shiatsu in the management of fibromyalgia symptoms: a controlled pilot study”, Journal of manipulative and physiological therapeutics, 2013
[2] Susan L.K. Yuan, Luciana A. Matsutani e Amélia P. Marques, “Effectiveness of different styles of massage therapy in fibromyalgia: a systematic review and meta-analysis”, Journal of manipulative and physiological therapeutics, 2015
[3] Shizuto Masunaga (1925 – 1981) è uno dei padri fondatori del moderno shiatsu. Lo Iokai Shiatsu Center, Istituto di ricerca da lui creato nel 1968 a Tokyo, ha esercitato una notevole influenza anche fuori del Giappone, diffondendo negli anni ’70 e ’80 lo shiatsu specialmente in Europa, dove lo stile Masunaga è attualmente quello predominante.
Elementi introduttivi allo Shiatsu
Autore: Fabio Zagato, caposcuola I.R.T.E.
Dello stesso autore: “L’Arte dello Shiatsu e l’esperienza della Meditazione Vipassana in pratica”
Lo shiatsu è fondamentalmente un sistema di normalizzazione del flusso vitale. Tale normalizzazione viene operata tramite specifiche stimolazioni manuali, secondo precisi criteri operativi.
Per meglio definire il campo d’azione dello shiatsu sarà bene precisare che per ‘flusso vitale’, o ‘Qi’ in cinese, oppure ‘Ki’ in giapponese, si intende quell’insieme di energie che, al di là di qualsiasi altro attributo gli si possa dare, permea l’essere vivente, facendo sì che il corpo fisico si rigeneri continuamente. Alla cessazione di questo flusso energetico assistiamo a ciò che comunemente chiamiamo ‘morte fisica’, ossia al realizzarsi nel corpo solo di processi disgregativi. Tale condizione di flusso non è casuale, bensì condizionata e condizionabile.
L’essere vivente esiste all’interno di un macro-sistema energetico, Terra-Cielo, che a sua volta si esprime in sottosistemi differenziati: i cicli annuali, le stagioni, il giorno e la notte; questi sottosistemi interagiscono costantemente con i sistemi energetici di tutti gli esseri viventi.
Vi è quindi un costante scambio tra noi e l’‘esterno’ nel quale ci poniamo talvolta in modo armonico, più spesso in modo disordinato, danneggiando, per ignoranza, noi stessi e gli altri.
CHE COSA DANNEGGIAMO?
Ciò che danneggiamo, primariamente, è l’equilibrio dell’energia vitale che fluisce nel nostro corpo nutrendo organi e visceri e distribuendosi regolarmente lungo specifici percorsi, detti ‘meridiani’. Quando, per motivi di varia natura ed entità, questo equilibrato fluire si altera, compaiono disagio, malessere, malattia.
Quanto più a lungo permane l’alterazione energetica, tanto più profondamente il corpo e la mente ne soffrono. L’energia generale diminuisce, la lucidità mentale si appanna, compaiono instabilità emotiva e i primi disturbi fisici. Succede così che, come la deviazione di una sorgente a monte crea siccità e rovina a valle, così l’alterarsi del flusso dell’energia vitale in qualsiasi sua parte, se non corretto per tempo, trasforma progressivamente tutto il nostro essere in qualcosa di sbilanciato e pericolante.
LA CRONICIZZAZIONE DELLO SQUILIBRIO
Poiché l’essere vivente, in quanto tale, tende automaticamente a ricreare un equilibrio, per precario che esso sia, alla comparsa delle prime alterazioni seguiranno fasi in cui il flusso vitale si riorganizzerà secondo nuove relazioni. L’essere vivente ‘cambierà’ in modo più o meno visibile; contemporaneamente il segnale, il malessere fisico o mentale, perderà di urgenza e passerà a un sottolivello di coscienza.
Si avrà così una condizione apparente di funzionalità generale, precariamente sorretta però da rapporti energetici impropri. Il permanere di questo ‘equilibrio improprio’ provocherà usura, nuovi squilibri e, nel tempo, comparsa di nuove e più gravi sintomatologie mentali e fisiche.
La correzione dello squilibrio energetico può essere ovviamente ricercata a partire da vari approcci, così come l’energia vitale si esprime in modi differenti e a differenti livelli.
La tecnica shiatsu trae la sua origine dal più antico gesto che l’uomo abbia mai compiuto alla comparsa della sofferenza: posare la mano sulla zona fisica dove il dolore si focalizza. Da questo gesto istintivo molta strada è stata fatta.
ALCUNE OSSERVAZIONI STORICHE SULLO SVILUPPO DELLO SHIATSU IN OCCIDENTE
Lo Shiatsu è una tecnica a mediazione corporea di origine composita, il cui sviluppo è stato ed è sicuramente eclettico, tanto nelle forme che sono praticate in Giappone, quanto nelle evoluzioni che alcune di queste hanno espresso a contatto con la cultura Occidentale. La grande varietà degli stili oggi praticati, i diversi sistemi di valutazione energetica, a volte le stesse dichiarazioni di finalità che vengono poste a monte della pratica, testimoniano esplicitamente del grado di polimorfismo che i modelli originari hanno sviluppato.
Possiamo in ogni caso affermare che, quantomeno in Occidente, i modelli esportati che hanno trovato maggior risposta sono due: il modello Namikoshi ed il modello Masunaga.
IL MODELLO NAMIKOSHI
Tokujiro Namikoshi, a cui va l’indubbio merito di aver per primo formalizzato la tecnica Shiatsu in Giappone, riuscendo ad ottenerne il riconoscimento da parte del governo nel 1955, ha costruito una struttura teorico-pratica il cui aspetto fondamentale, e un po’ sorprendente, consiste nell’allontanamento dal modello proposto di gran parte dei tratti in qualche misura collegabili al background tradizionale a cui fa riferimento la medicina tradizionale Giapponese.
Di fatto si tratta quindi dell’abbandono dei modelli reinterpretativi della cultura sinica che il Giappone ha elaborato a partire dal VI secolo ad oggi, a favore di una visione potremmo dire “fisioterapica” del rapporto con il corpo.
Contemporaneamente però è difficile non individuare una contraddizione abbastanza visibile tra la pratica che viene proposta, che trae sicuramente le sue origini dalle tecniche tradizionali giapponesi, e il tentativo di razionalizzarne gli effetti attraverso il linguaggio proprio della scienza medica occidentale, evitando accuratamente qualsiasi riferimento alla medicina orientale.
Questa presa di distanze è particolarmente sorprendente, soprattutto se si considera che negli ultimi decenni i tentativi di leggere in chiave positivista gli effetti, per esempio, dell’Agopuntura sono stati e sono moltissimi, senza che questo abbia mai richiesto di rinnegare l’Agopuntura stessa, al massimo di fraintenderla.
È innegabile infatti che nello Shiatsu da lui proposto siano presenti criteri di pressione mantenuta, perpendicolare e conforme, assieme ad altre tecniche di pressione derivate dall’anima e dal massaggio cinese, e che qua e là gli sfuggissero anche riferimenti espliciti a concetti di medicina orientale «… le persone che hanno problemi di cuore hanno spesso mignoli deboli…» ecc.
Nel contempo, però, Tokujiro Namikoshi spiegava ai chiropratici americani l’efficacia dello Shiatsu in termini di riduzione dell’acido lattico e aumento del glicogeno nei muscoli.
Forte di queste caratteristiche, la tecnica Namikoshi si è diffusa in Occidente, a partire dagli anni ’60, soprattutto negli ambienti paramedici e comunque in genere solo attraverso Scuole che sono emanazioni dirette e autorizzate della Scuola Giapponese di Shiatsu.
IL MODELLO MASUNAGA
Shizuto Masunaga invece si era laureato in psicologia a Kioto, era membro della Associazione Giapponese di Medicina Orientale e aveva lavorato per circa un decennio come insegnante nella Scuola Giapponese di Shiatsu, da cui si era separato successivamente, proprio a causa del suo voler introdurre nella pratica Shiatsu l’utilizzo dei meridiani energetici, riannodando così i legami con il vasto mare della medicina tradizionale cinese (M.T.C.)
Sulla base dei suoi studi sulla medicina tradizionale cinese e giapponese e della sua pratica clinica, sostenne innanzitutto la centralità del trattamento del Meridiano in quanto tale e in toto.
Nella tecnica terapeutica, enfatizzò il concetto di attivazione del meridiano attraverso la sollecitazione manuale dei vuoti – pieni (kyo – jitsu) rilevabili percettivamente nella struttura del meridiano stesso, mentre contemporaneamente non dimostrò che un interesse marginale per i punti (tsubo) canonici.
In questo modo si discostava quindi nettamente anche dallo Shiatsu eseguito attraverso la stimolazione dei punti di Agopuntura e Moxa, presente in Giappone presso alcune scuole.
Conseguentemente allo sviluppo di questo approccio, attraverso l’indagine percettiva e il grande utilizzo della tecnica di stretching sui pazienti, Masunaga arrivò a sostenere che, differentemente da quanto comunemente accettato, il tracciato dei 12 meridiani principali era rilevabile in tutto il corpo, tanto nella parte superiore che inferiore.
Inoltre trovò delle piccole diversità di percorso anche lì dove i tracciati canonici di M.T.C. e quelli da lui identificati tendenzialmente concordavano. Considerando che gli studi di Maruyama e Nagahama sulla risonanza elettromagnetica dei meridiani sembravano sostenere le sue ricerche, e confortato dai risultati che la pratica clinica sua e dei suoi allievi gli offriva, Masunaga non soffrì di eccessivi complessi verso il sistema di meridiani più diffuso e comunemente accettato di M.T.C., tanto che le sue osservazioni in proposito lo portavano a dichiarare:
«Per quanto riguarda la diagnosi con il tatto, in Agopuntura e Moxa il nucleo della diagnosi è il polso, mentre le diagnosi dell’addome, della schiena e dei meridiani sono puramente sussidiarie; inoltre l’oggetto di tali diagnosi rimangono pur sempre i punti dei meridiani e non si dà molta importanza alla diagnosi del kyo – jitsu dei meridiani stessi».
In sostanza, partendo dal lavoro di Masunaga è possibile ipotizzare che il tragitto dei meridiani tradizionali di M.T.C. sia più un “luogo logico” che riunisce più punti con caratteristiche coerenti, che non tanto un “luogo reale” e praticabile. La cui funzione, nella pratica terapeutica dello shiatsuka e non solo nella teoria, potrebbe essere invece qualcosa di più che non collegare dei punti tra di loro.
Per Masunaga, in ogni caso, il meridiano è una vera entità energetica, vettore direttamente percepibile dell’armonia o disarmonia energetica, e quindi oggetto principale dell’attività terapeutica.
La “diagnosi con il tatto” (setsushin) aveva inoltre portato Masunaga a identificare sul dorso e sull’addome del soggetto complessivamente 24 aree di diagnosi, 12 yang e 12 yin, utilizzabili per definire in termini di kyo – jitsu lo stato dell’energia d’Organo e Viscere (diagnosi di Hara). La sistematizzazione delle aree diagnostiche quindi fece sì che esse divenissero strumenti fondamentali per tutti gli shiatsuka che fecero poi riferimento a questo metodo.
Il lavoro di ricerca di Shizuto Masunaga portò nel 1977 alla pubblicazione della versione definitiva della mappa dei meridiani Iokai, o meridiani Masunaga come vengono comunemente chiamati.
PRINCIPALE TECNICA SHIATSU TECNICHE DERIVATE
TECNICA NAMIKOSHI
• Utilizzo dei punti Namikoshi e dei criteri di pressione definiti dalla Scuola Giapponese di Shiatsu.• La diagnosi è di tipo medico occidentale• L’intervento è prescritto in base alla sintomatologia• Genericamente tutti i trattamenti che utilizzano la pressione sui punti Namikoshi e derivati, e non su i meridiani energetici o sui punti di agopuntura e moxa.
TECNICA MASUNAGA
• Utilizzo integrale dei meridiani e delle aree di diagnosi Masunaga• Diagnosi di Kyo–Jitsu sui meridiani e su Hara e trattamento per coppie di Kyo–Jitsu• Tecniche di pressione e Kata stile Iokai• Utilizzo integrale dei meridiani e delle aree di diagnosi Masunaga. Mantenimento dei criteri fondamentali di diagnosi e attivazione del Ki (Qi) nei meridiani e della diagnosi di Hara, secondo i criteri di Kyo–Jitsu. Evoluzioni delle tecniche di pressione, delle tecniche diagnostiche, dei Kata e delle metodologie di trattamento.• Mantenimento o contiguità ai criteri generali di diagnosi di Kyo– Jitsu, utilizzo della diagnosi di Hara, ma utilizzo dei meridiani di Agopuntura e particolare interesse all’utilizzo dei punti tradizionali di Agopuntura. Evoluzioni delle tecniche di pressione, delle tecniche diagnostiche, dei Kata e delle metodologie di trattamento.• Ibridazioni particolarmente eclettiche, che utilizzano tendenzialmente i principi generali già descritti applicandoli di volta in volta a: meridiani e punti di Agopuntura, monconi dei tragitti Masunaga, aree di diagnosi Masunaga e punti Shu–Mu usati come punti diagnostici.
PROPRIOCEZIONE ED ETEROCEZIONE
Lo Shiatsu è comunque anche una disciplina in cui la mediazione tra atto tecnico e capacità di interpretazione dell’atto tecnico da parte dell’Operatore assume valore capitale, in modo assai più significativo che non in altre discipline. Darò qui di seguito alcuni elementi di sostegno a quanto affermato.
Per propriocezione in genere si intende l’attività svolta dall’insieme dei sistemi che sono coinvolti nel fornire informazioni circa l’orientamento del corpo nello spazio, il suo movimento o il movimento di parti di esso, la sua posizione eccetera.
Nello Shiatsu lo sviluppo dei somatosensi riporta l’Operatore a un’attività propriocettiva particolare, specificamente funzionale al rapporto terapeutico. Infatti, tutta la tecnica dei kata (sequenze di atti pressori) è anche un addestramento continuo alla propriocezione.
All’Operatore è richiesto di sviluppare una precisa consapevolezza della posizione del suo corpo nello spazio e un’uguale consapevolezza dei movimenti che il suo corpo compie, perché sarà proprio attraverso un kata impeccabile che entrerà in contatto correttamente con il soggetto.
Infatti un aspetto specifico della propriocezione nello Shiatsu è legato al fatto che l’Operatore muove se stesso ‘verso’ il soggetto fino a stabilire un contatto finalizzato, e da questo contatto nasce una risposta che attiva in termini sottili le funzioni propriocettive dell’Operatore.
Va sottolineato che il momento propriocettivo più importante si instaura proprio nella fase di stasi della pressione shiatsu, lì dove l’Operatore apprezza la risposta che il corpo del soggetto gli rimanda. Avremo quindi, al termine dello spostamento nello spazio del corpo dell’operatore, l’instaurarsi di una fase che chiameremo ‘proprio-eterocettiva’, determinata dalla pressione shiatsu, in cui operatore e soggetto si scambieranno messaggi ‘energetici’, per definire con un’unica parola i livelli somatici, psichici, emozionali, elettromagnetici ecc., che entrano in interazione durante la fase pressoria.
Scomponendo infatti ciò che accade durante l’atto terapeutico shiatsu, possiamo proporre le seguenti osservazioni, in relazione alle dinamiche propriocettive ed eterocettive che vengono in essere nelle sequenze di ingresso, stasi e uscita.
L’operatore muove verso il soggetto mantenendo un certo grado di attenzione verso le sensazioni che provengono dal suo corpo che si sposta correttamente nello spazio (rachide allineato, diaframma libero, uso dello spostamento del baricentro).
La posizione corretta e l’attenzione gli permettono così di percepire la tensione eventuale presente nel suo corpo, provocata o da una scorretta esecuzione tecnica del kata, oppure da uno stato psicofisico non bilanciato.
La tensione, che può esprimersi nell’operatore in vari modi e in varie aree del soma, produrrà comunque sempre sensazioni nell’area addominale, che è, non a caso, la zona dove sono rilevabili le aree di diagnosi energetica yin di organi e visceri. Sappiamo infatti che l’atteggiamento energetico generale yin comprende in sé le caratteristiche di accoglimento-percettività, e l’esperienza ci insegna che le zone in cui più chiaramente percepiamo le emozioni sono l’addome e il petto. Non a caso nell’uso popolare esistono espressioni come ‘sentire di pancia’, ‘sentirsi dentro’ ecc.
Nell’area addominale, quindi, l’Operatore avrà la possibilità di percepire la propria reazione al suo avvicinarsi al soggetto, al suo entrare in contatto con un altro corpo, forse sofferente in misura più o meno esplicita, e di questa reazione dovrà essere assolutamente consapevole, pena il suo stesso sbilanciamento energetico.
L’Operatore carica il suo peso corporeo sul soggetto utilizzando gli strumenti di lavoro appropriati. Nella fase statica della pressione, l’Operatore è in rapporto diretto con il corpo del soggetto e, mantenendo focalizzata l’attenzione sull’area di contatto, ha la possibilità di ascoltare il dialogo che si instaura tra i propri sistemi propriocettivi e quelli del soggetto (eterocezione), all’interno di un meccanismo di biofeedback spontaneo. Possiamo infatti considerare che di fronte a qualsiasi sensazione noi abbiamo una risposta di tipo binario: sensazione piacevole; sensazione spiacevole.
Esiste poi la situazione ‘non-a) non-b)’, in cui la sensazione è ignota, quindi neutra; ma in breve tempo, appena messa a fuoco, diventerà di tipo a) oppure b).
In relazione alla sensazione piacevole, la risposta psicofisica condizionata sarà quella di ‘trattenere’ la sensazione, in modo da poter prolungare il piacere stesso.
In relazione alla sensazione spiacevole, la risposta condizionata porterà automaticamente ad atteggiamenti di evitamento e difesa che abbrevino il tempo di percezione della sensazione spiacevole.
In ambedue i casi questi atteggiamenti, apparentemente polari, si scontrano con un dato di realtà incontrovertibile: i fenomeni, infatti, di qualsiasi tipo essi siano, sono impermanenti e sostanzialmente ingovernabili.
Così, come il desiderio che una sensazione piacevole non svanisca non può che generare uno stato di frustrazione, e cioè di congestione del flusso energetico, così il non riconoscere che anche una sensazione spiacevole è impermanente e in gran parte ingovernabile determina, in ragione dello sforzo di negarla, la medesima situazione di frustrazione e congestione energetica.
In senso generale, quanto affermato è stato probabilmente sperimentato chiaramente da ognuno di noi, quanto meno in situazioni particolarmente coinvolgenti di piacere e dispiacere.
Tuttavia, ciò che è importante sottolineare è che l’atteggiamento di trattenimento-evitamento è presente nella mente in modo quasi continuo, ed è motivo quindi dell’instaurarsi di un attrito continuo tra la realtà dei fenomeni e il modo in cui noi li viviamo.
In termini utilizzabili nella teoria della tecnica shiatsu, possiamo quindi dire, per esempio, che una sensazione piacevole dallo stato di esistenza (yang) tende ad andare verso il suo naturale stato di quiescenza (yin) seguendo il normale flusso oscillatorio di ogni fenomeno.
La mente che vuole trattenere la sensazione piacevole oltre il suo naturale tempo di vita si pone quindi in attrito irragionevole con il tessuto energetico della realtà, creando in certo modo una specie di realtà separata, allucinatoria.
Allo stesso modo, il tentare di negare l’insorgere (yang) di un fenomeno sgradevole è un po’ come tentare di fermare l’alta marea con le mani: impossibile, frustrante, origine di ulteriori sensazioni spiacevoli.
Dalla nostra capacità maggiore o minore di accettare le sensazioni per quel che sono, fenomeni impermanenti e ingovernabili, oscillanti tra la condizione yin e yang, dipende quindi lo stato di maggiore o minore congestione in cui costantemente ci troviamo.
Diventa così evidente l’importanza che assume quanto esposto in relazione al contatto terapeutico che si instaura tra l’operatore ed il soggetto.
L’operatore si ritira dalla pressione rapidamente o lentamente a seconda dell’effetto desiderato. Nella fase di uscita diventa particolarmente evidente quanto detto sul rischio di ‘invischiamento’ dell’Operatore nelle sue sensazioni.
Sono infatti normalmente presenti, nelle supervisioni fatte ai professionisti, i riporti di situazioni in cui l’uscita dalla pressione viene posticipata perché genera sensazioni piacevoli all’Operatore, oppure, al contrario, affrettata perché genera sensazioni spiacevoli.
Il tempo della pressione in questo modo non viene più determinato dalla necessità terapeutica, ma dalla reattività più o meno inconscia dell’operatore.
Deve essere chiaro peraltro che tutto ciò non rappresenta mai un danno per il soggetto, al massimo un riduzione di beneficio, ma può essere un danno per l’Operatore.
Abbiamo detto infatti che la condizione normale dell’energia vitale è quella di flusso, e che tutti i problemi nascono proprio dall’alterarsi di questa situazione.
La vera azione terapeutica dello Shiatsu si sviluppa quindi nella misura in cui l’Operatore riesce a richiamare nel soggetto la migliore condizione di circolazione energetica possibile. Per ottenere ciò dispone di una metodologia specifica che gli permette di intervenire, tramite pressioni, sui meridiani energetici e sulle aree di diagnosi.
Questo intervento, in certa misura, anche se condotto superficialmente ha già un’attività normalizzatrice su parte delle condizioni energetiche del soggetto. Tuttavia, nel momento in cui insorgono nell’Operatore atteggiamenti di trattenimento-evitamento, questi atteggiamenti stessi gli precludono l’accesso a livelli più sottili e profondi dello stato energetico del soggetto, poiché esprimendosi come congestione non possono certo svolgere un’azione normalizzatrice nei confronti di congestioni similari.
Inoltre le condizioni di congestione non consapevole che insorgono nell’Operatore divengono responsabili delle sensazioni a volte lamentate da chi pratica Shiatsu professionalmente: stanchezza, sensazione che il ricevente abbia prosciugato tutte le energie dell’Operatore, sensazioni sgradevoli di rimbalzo o che insorgono in lui durante il trattamento, e così via.
Questo tipo di disturbi sono in pratica autoprovocati dall’Operatore stesso, e trovano poi terreno fertile nel riverberare sui suoi problemi energetici costituzionali. In relazione a quanto detto è quindi di estrema importanza che nel training formativo dei professionisti sia curato lo svilupparsi di un’attenzione propriocettiva costante, in certo modo automatica e istintiva.
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Spagyrica
Dello stesso autore: “L’Arte dello Shiatsu e l’esperienza della Meditazione Vipassana in pratica”
Lo shiatsu è fondamentalmente un sistema di normalizzazione del flusso vitale. Tale normalizzazione viene operata tramite specifiche stimolazioni manuali, secondo precisi criteri operativi.
Per meglio definire il campo d’azione dello shiatsu sarà bene precisare che per ‘flusso vitale’, o ‘Qi’ in cinese, oppure ‘Ki’ in giapponese, si intende quell’insieme di energie che, al di là di qualsiasi altro attributo gli si possa dare, permea l’essere vivente, facendo sì che il corpo fisico si rigeneri continuamente. Alla cessazione di questo flusso energetico assistiamo a ciò che comunemente chiamiamo ‘morte fisica’, ossia al realizzarsi nel corpo solo di processi disgregativi. Tale condizione di flusso non è casuale, bensì condizionata e condizionabile.
L’essere vivente esiste all’interno di un macro-sistema energetico, Terra-Cielo, che a sua volta si esprime in sottosistemi differenziati: i cicli annuali, le stagioni, il giorno e la notte; questi sottosistemi interagiscono costantemente con i sistemi energetici di tutti gli esseri viventi.
Vi è quindi un costante scambio tra noi e l’‘esterno’ nel quale ci poniamo talvolta in modo armonico, più spesso in modo disordinato, danneggiando, per ignoranza, noi stessi e gli altri.
CHE COSA DANNEGGIAMO?
Ciò che danneggiamo, primariamente, è l’equilibrio dell’energia vitale che fluisce nel nostro corpo nutrendo organi e visceri e distribuendosi regolarmente lungo specifici percorsi, detti ‘meridiani’. Quando, per motivi di varia natura ed entità, questo equilibrato fluire si altera, compaiono disagio, malessere, malattia.
Quanto più a lungo permane l’alterazione energetica, tanto più profondamente il corpo e la mente ne soffrono. L’energia generale diminuisce, la lucidità mentale si appanna, compaiono instabilità emotiva e i primi disturbi fisici. Succede così che, come la deviazione di una sorgente a monte crea siccità e rovina a valle, così l’alterarsi del flusso dell’energia vitale in qualsiasi sua parte, se non corretto per tempo, trasforma progressivamente tutto il nostro essere in qualcosa di sbilanciato e pericolante.
LA CRONICIZZAZIONE DELLO SQUILIBRIO
Poiché l’essere vivente, in quanto tale, tende automaticamente a ricreare un equilibrio, per precario che esso sia, alla comparsa delle prime alterazioni seguiranno fasi in cui il flusso vitale si riorganizzerà secondo nuove relazioni. L’essere vivente ‘cambierà’ in modo più o meno visibile; contemporaneamente il segnale, il malessere fisico o mentale, perderà di urgenza e passerà a un sottolivello di coscienza.
Si avrà così una condizione apparente di funzionalità generale, precariamente sorretta però da rapporti energetici impropri. Il permanere di questo ‘equilibrio improprio’ provocherà usura, nuovi squilibri e, nel tempo, comparsa di nuove e più gravi sintomatologie mentali e fisiche.
La correzione dello squilibrio energetico può essere ovviamente ricercata a partire da vari approcci, così come l’energia vitale si esprime in modi differenti e a differenti livelli.
La tecnica shiatsu trae la sua origine dal più antico gesto che l’uomo abbia mai compiuto alla comparsa della sofferenza: posare la mano sulla zona fisica dove il dolore si focalizza. Da questo gesto istintivo molta strada è stata fatta.
ALCUNE OSSERVAZIONI STORICHE SULLO SVILUPPO DELLO SHIATSU IN OCCIDENTE
Lo Shiatsu è una tecnica a mediazione corporea di origine composita, il cui sviluppo è stato ed è sicuramente eclettico, tanto nelle forme che sono praticate in Giappone, quanto nelle evoluzioni che alcune di queste hanno espresso a contatto con la cultura Occidentale. La grande varietà degli stili oggi praticati, i diversi sistemi di valutazione energetica, a volte le stesse dichiarazioni di finalità che vengono poste a monte della pratica, testimoniano esplicitamente del grado di polimorfismo che i modelli originari hanno sviluppato.
Possiamo in ogni caso affermare che, quantomeno in Occidente, i modelli esportati che hanno trovato maggior risposta sono due: il modello Namikoshi ed il modello Masunaga.
IL MODELLO NAMIKOSHI
Tokujiro Namikoshi, a cui va l’indubbio merito di aver per primo formalizzato la tecnica Shiatsu in Giappone, riuscendo ad ottenerne il riconoscimento da parte del governo nel 1955, ha costruito una struttura teorico-pratica il cui aspetto fondamentale, e un po’ sorprendente, consiste nell’allontanamento dal modello proposto di gran parte dei tratti in qualche misura collegabili al background tradizionale a cui fa riferimento la medicina tradizionale Giapponese.
Di fatto si tratta quindi dell’abbandono dei modelli reinterpretativi della cultura sinica che il Giappone ha elaborato a partire dal VI secolo ad oggi, a favore di una visione potremmo dire “fisioterapica” del rapporto con il corpo.
Contemporaneamente però è difficile non individuare una contraddizione abbastanza visibile tra la pratica che viene proposta, che trae sicuramente le sue origini dalle tecniche tradizionali giapponesi, e il tentativo di razionalizzarne gli effetti attraverso il linguaggio proprio della scienza medica occidentale, evitando accuratamente qualsiasi riferimento alla medicina orientale.
Questa presa di distanze è particolarmente sorprendente, soprattutto se si considera che negli ultimi decenni i tentativi di leggere in chiave positivista gli effetti, per esempio, dell’Agopuntura sono stati e sono moltissimi, senza che questo abbia mai richiesto di rinnegare l’Agopuntura stessa, al massimo di fraintenderla.
È innegabile infatti che nello Shiatsu da lui proposto siano presenti criteri di pressione mantenuta, perpendicolare e conforme, assieme ad altre tecniche di pressione derivate dall’anima e dal massaggio cinese, e che qua e là gli sfuggissero anche riferimenti espliciti a concetti di medicina orientale «… le persone che hanno problemi di cuore hanno spesso mignoli deboli…» ecc.
Nel contempo, però, Tokujiro Namikoshi spiegava ai chiropratici americani l’efficacia dello Shiatsu in termini di riduzione dell’acido lattico e aumento del glicogeno nei muscoli.
Forte di queste caratteristiche, la tecnica Namikoshi si è diffusa in Occidente, a partire dagli anni ’60, soprattutto negli ambienti paramedici e comunque in genere solo attraverso Scuole che sono emanazioni dirette e autorizzate della Scuola Giapponese di Shiatsu.
IL MODELLO MASUNAGA
Shizuto Masunaga invece si era laureato in psicologia a Kioto, era membro della Associazione Giapponese di Medicina Orientale e aveva lavorato per circa un decennio come insegnante nella Scuola Giapponese di Shiatsu, da cui si era separato successivamente, proprio a causa del suo voler introdurre nella pratica Shiatsu l’utilizzo dei meridiani energetici, riannodando così i legami con il vasto mare della medicina tradizionale cinese (M.T.C.)
Sulla base dei suoi studi sulla medicina tradizionale cinese e giapponese e della sua pratica clinica, sostenne innanzitutto la centralità del trattamento del Meridiano in quanto tale e in toto.
Nella tecnica terapeutica, enfatizzò il concetto di attivazione del meridiano attraverso la sollecitazione manuale dei vuoti – pieni (kyo – jitsu) rilevabili percettivamente nella struttura del meridiano stesso, mentre contemporaneamente non dimostrò che un interesse marginale per i punti (tsubo) canonici.
In questo modo si discostava quindi nettamente anche dallo Shiatsu eseguito attraverso la stimolazione dei punti di Agopuntura e Moxa, presente in Giappone presso alcune scuole.
Conseguentemente allo sviluppo di questo approccio, attraverso l’indagine percettiva e il grande utilizzo della tecnica di stretching sui pazienti, Masunaga arrivò a sostenere che, differentemente da quanto comunemente accettato, il tracciato dei 12 meridiani principali era rilevabile in tutto il corpo, tanto nella parte superiore che inferiore.
Inoltre trovò delle piccole diversità di percorso anche lì dove i tracciati canonici di M.T.C. e quelli da lui identificati tendenzialmente concordavano. Considerando che gli studi di Maruyama e Nagahama sulla risonanza elettromagnetica dei meridiani sembravano sostenere le sue ricerche, e confortato dai risultati che la pratica clinica sua e dei suoi allievi gli offriva, Masunaga non soffrì di eccessivi complessi verso il sistema di meridiani più diffuso e comunemente accettato di M.T.C., tanto che le sue osservazioni in proposito lo portavano a dichiarare:
«Per quanto riguarda la diagnosi con il tatto, in Agopuntura e Moxa il nucleo della diagnosi è il polso, mentre le diagnosi dell’addome, della schiena e dei meridiani sono puramente sussidiarie; inoltre l’oggetto di tali diagnosi rimangono pur sempre i punti dei meridiani e non si dà molta importanza alla diagnosi del kyo – jitsu dei meridiani stessi».
In sostanza, partendo dal lavoro di Masunaga è possibile ipotizzare che il tragitto dei meridiani tradizionali di M.T.C. sia più un “luogo logico” che riunisce più punti con caratteristiche coerenti, che non tanto un “luogo reale” e praticabile. La cui funzione, nella pratica terapeutica dello shiatsuka e non solo nella teoria, potrebbe essere invece qualcosa di più che non collegare dei punti tra di loro.
Per Masunaga, in ogni caso, il meridiano è una vera entità energetica, vettore direttamente percepibile dell’armonia o disarmonia energetica, e quindi oggetto principale dell’attività terapeutica.
La “diagnosi con il tatto” (setsushin) aveva inoltre portato Masunaga a identificare sul dorso e sull’addome del soggetto complessivamente 24 aree di diagnosi, 12 yang e 12 yin, utilizzabili per definire in termini di kyo – jitsu lo stato dell’energia d’Organo e Viscere (diagnosi di Hara). La sistematizzazione delle aree diagnostiche quindi fece sì che esse divenissero strumenti fondamentali per tutti gli shiatsuka che fecero poi riferimento a questo metodo.
Il lavoro di ricerca di Shizuto Masunaga portò nel 1977 alla pubblicazione della versione definitiva della mappa dei meridiani Iokai, o meridiani Masunaga come vengono comunemente chiamati.
PRINCIPALE TECNICA SHIATSU TECNICHE DERIVATE
TECNICA NAMIKOSHI
• Utilizzo dei punti Namikoshi e dei criteri di pressione definiti dalla Scuola Giapponese di Shiatsu.• La diagnosi è di tipo medico occidentale• L’intervento è prescritto in base alla sintomatologia• Genericamente tutti i trattamenti che utilizzano la pressione sui punti Namikoshi e derivati, e non su i meridiani energetici o sui punti di agopuntura e moxa.
TECNICA MASUNAGA
• Utilizzo integrale dei meridiani e delle aree di diagnosi Masunaga• Diagnosi di Kyo–Jitsu sui meridiani e su Hara e trattamento per coppie di Kyo–Jitsu• Tecniche di pressione e Kata stile Iokai• Utilizzo integrale dei meridiani e delle aree di diagnosi Masunaga. Mantenimento dei criteri fondamentali di diagnosi e attivazione del Ki (Qi) nei meridiani e della diagnosi di Hara, secondo i criteri di Kyo–Jitsu. Evoluzioni delle tecniche di pressione, delle tecniche diagnostiche, dei Kata e delle metodologie di trattamento.• Mantenimento o contiguità ai criteri generali di diagnosi di Kyo– Jitsu, utilizzo della diagnosi di Hara, ma utilizzo dei meridiani di Agopuntura e particolare interesse all’utilizzo dei punti tradizionali di Agopuntura. Evoluzioni delle tecniche di pressione, delle tecniche diagnostiche, dei Kata e delle metodologie di trattamento.• Ibridazioni particolarmente eclettiche, che utilizzano tendenzialmente i principi generali già descritti applicandoli di volta in volta a: meridiani e punti di Agopuntura, monconi dei tragitti Masunaga, aree di diagnosi Masunaga e punti Shu–Mu usati come punti diagnostici.
PROPRIOCEZIONE ED ETEROCEZIONE
Lo Shiatsu è comunque anche una disciplina in cui la mediazione tra atto tecnico e capacità di interpretazione dell’atto tecnico da parte dell’Operatore assume valore capitale, in modo assai più significativo che non in altre discipline. Darò qui di seguito alcuni elementi di sostegno a quanto affermato.
Per propriocezione in genere si intende l’attività svolta dall’insieme dei sistemi che sono coinvolti nel fornire informazioni circa l’orientamento del corpo nello spazio, il suo movimento o il movimento di parti di esso, la sua posizione eccetera.
Nello Shiatsu lo sviluppo dei somatosensi riporta l’Operatore a un’attività propriocettiva particolare, specificamente funzionale al rapporto terapeutico. Infatti, tutta la tecnica dei kata (sequenze di atti pressori) è anche un addestramento continuo alla propriocezione.
All’Operatore è richiesto di sviluppare una precisa consapevolezza della posizione del suo corpo nello spazio e un’uguale consapevolezza dei movimenti che il suo corpo compie, perché sarà proprio attraverso un kata impeccabile che entrerà in contatto correttamente con il soggetto.
Infatti un aspetto specifico della propriocezione nello Shiatsu è legato al fatto che l’Operatore muove se stesso ‘verso’ il soggetto fino a stabilire un contatto finalizzato, e da questo contatto nasce una risposta che attiva in termini sottili le funzioni propriocettive dell’Operatore.
Va sottolineato che il momento propriocettivo più importante si instaura proprio nella fase di stasi della pressione shiatsu, lì dove l’Operatore apprezza la risposta che il corpo del soggetto gli rimanda. Avremo quindi, al termine dello spostamento nello spazio del corpo dell’operatore, l’instaurarsi di una fase che chiameremo ‘proprio-eterocettiva’, determinata dalla pressione shiatsu, in cui operatore e soggetto si scambieranno messaggi ‘energetici’, per definire con un’unica parola i livelli somatici, psichici, emozionali, elettromagnetici ecc., che entrano in interazione durante la fase pressoria.
Scomponendo infatti ciò che accade durante l’atto terapeutico shiatsu, possiamo proporre le seguenti osservazioni, in relazione alle dinamiche propriocettive ed eterocettive che vengono in essere nelle sequenze di ingresso, stasi e uscita.
L’operatore muove verso il soggetto mantenendo un certo grado di attenzione verso le sensazioni che provengono dal suo corpo che si sposta correttamente nello spazio (rachide allineato, diaframma libero, uso dello spostamento del baricentro).
La posizione corretta e l’attenzione gli permettono così di percepire la tensione eventuale presente nel suo corpo, provocata o da una scorretta esecuzione tecnica del kata, oppure da uno stato psicofisico non bilanciato.
La tensione, che può esprimersi nell’operatore in vari modi e in varie aree del soma, produrrà comunque sempre sensazioni nell’area addominale, che è, non a caso, la zona dove sono rilevabili le aree di diagnosi energetica yin di organi e visceri. Sappiamo infatti che l’atteggiamento energetico generale yin comprende in sé le caratteristiche di accoglimento-percettività, e l’esperienza ci insegna che le zone in cui più chiaramente percepiamo le emozioni sono l’addome e il petto. Non a caso nell’uso popolare esistono espressioni come ‘sentire di pancia’, ‘sentirsi dentro’ ecc.
Nell’area addominale, quindi, l’Operatore avrà la possibilità di percepire la propria reazione al suo avvicinarsi al soggetto, al suo entrare in contatto con un altro corpo, forse sofferente in misura più o meno esplicita, e di questa reazione dovrà essere assolutamente consapevole, pena il suo stesso sbilanciamento energetico.
L’Operatore carica il suo peso corporeo sul soggetto utilizzando gli strumenti di lavoro appropriati. Nella fase statica della pressione, l’Operatore è in rapporto diretto con il corpo del soggetto e, mantenendo focalizzata l’attenzione sull’area di contatto, ha la possibilità di ascoltare il dialogo che si instaura tra i propri sistemi propriocettivi e quelli del soggetto (eterocezione), all’interno di un meccanismo di biofeedback spontaneo. Possiamo infatti considerare che di fronte a qualsiasi sensazione noi abbiamo una risposta di tipo binario: sensazione piacevole; sensazione spiacevole.
Esiste poi la situazione ‘non-a) non-b)’, in cui la sensazione è ignota, quindi neutra; ma in breve tempo, appena messa a fuoco, diventerà di tipo a) oppure b).
In relazione alla sensazione piacevole, la risposta psicofisica condizionata sarà quella di ‘trattenere’ la sensazione, in modo da poter prolungare il piacere stesso.
In relazione alla sensazione spiacevole, la risposta condizionata porterà automaticamente ad atteggiamenti di evitamento e difesa che abbrevino il tempo di percezione della sensazione spiacevole.
In ambedue i casi questi atteggiamenti, apparentemente polari, si scontrano con un dato di realtà incontrovertibile: i fenomeni, infatti, di qualsiasi tipo essi siano, sono impermanenti e sostanzialmente ingovernabili.
Così, come il desiderio che una sensazione piacevole non svanisca non può che generare uno stato di frustrazione, e cioè di congestione del flusso energetico, così il non riconoscere che anche una sensazione spiacevole è impermanente e in gran parte ingovernabile determina, in ragione dello sforzo di negarla, la medesima situazione di frustrazione e congestione energetica.
In senso generale, quanto affermato è stato probabilmente sperimentato chiaramente da ognuno di noi, quanto meno in situazioni particolarmente coinvolgenti di piacere e dispiacere.
Tuttavia, ciò che è importante sottolineare è che l’atteggiamento di trattenimento-evitamento è presente nella mente in modo quasi continuo, ed è motivo quindi dell’instaurarsi di un attrito continuo tra la realtà dei fenomeni e il modo in cui noi li viviamo.
In termini utilizzabili nella teoria della tecnica shiatsu, possiamo quindi dire, per esempio, che una sensazione piacevole dallo stato di esistenza (yang) tende ad andare verso il suo naturale stato di quiescenza (yin) seguendo il normale flusso oscillatorio di ogni fenomeno.
La mente che vuole trattenere la sensazione piacevole oltre il suo naturale tempo di vita si pone quindi in attrito irragionevole con il tessuto energetico della realtà, creando in certo modo una specie di realtà separata, allucinatoria.
Allo stesso modo, il tentare di negare l’insorgere (yang) di un fenomeno sgradevole è un po’ come tentare di fermare l’alta marea con le mani: impossibile, frustrante, origine di ulteriori sensazioni spiacevoli.
Dalla nostra capacità maggiore o minore di accettare le sensazioni per quel che sono, fenomeni impermanenti e ingovernabili, oscillanti tra la condizione yin e yang, dipende quindi lo stato di maggiore o minore congestione in cui costantemente ci troviamo.
Diventa così evidente l’importanza che assume quanto esposto in relazione al contatto terapeutico che si instaura tra l’operatore ed il soggetto.
L’operatore si ritira dalla pressione rapidamente o lentamente a seconda dell’effetto desiderato. Nella fase di uscita diventa particolarmente evidente quanto detto sul rischio di ‘invischiamento’ dell’Operatore nelle sue sensazioni.
Sono infatti normalmente presenti, nelle supervisioni fatte ai professionisti, i riporti di situazioni in cui l’uscita dalla pressione viene posticipata perché genera sensazioni piacevoli all’Operatore, oppure, al contrario, affrettata perché genera sensazioni spiacevoli.
Il tempo della pressione in questo modo non viene più determinato dalla necessità terapeutica, ma dalla reattività più o meno inconscia dell’operatore.
Deve essere chiaro peraltro che tutto ciò non rappresenta mai un danno per il soggetto, al massimo un riduzione di beneficio, ma può essere un danno per l’Operatore.
Abbiamo detto infatti che la condizione normale dell’energia vitale è quella di flusso, e che tutti i problemi nascono proprio dall’alterarsi di questa situazione.
La vera azione terapeutica dello Shiatsu si sviluppa quindi nella misura in cui l’Operatore riesce a richiamare nel soggetto la migliore condizione di circolazione energetica possibile. Per ottenere ciò dispone di una metodologia specifica che gli permette di intervenire, tramite pressioni, sui meridiani energetici e sulle aree di diagnosi.
Questo intervento, in certa misura, anche se condotto superficialmente ha già un’attività normalizzatrice su parte delle condizioni energetiche del soggetto. Tuttavia, nel momento in cui insorgono nell’Operatore atteggiamenti di trattenimento-evitamento, questi atteggiamenti stessi gli precludono l’accesso a livelli più sottili e profondi dello stato energetico del soggetto, poiché esprimendosi come congestione non possono certo svolgere un’azione normalizzatrice nei confronti di congestioni similari.
Inoltre le condizioni di congestione non consapevole che insorgono nell’Operatore divengono responsabili delle sensazioni a volte lamentate da chi pratica Shiatsu professionalmente: stanchezza, sensazione che il ricevente abbia prosciugato tutte le energie dell’Operatore, sensazioni sgradevoli di rimbalzo o che insorgono in lui durante il trattamento, e così via.
Questo tipo di disturbi sono in pratica autoprovocati dall’Operatore stesso, e trovano poi terreno fertile nel riverberare sui suoi problemi energetici costituzionali. In relazione a quanto detto è quindi di estrema importanza che nel training formativo dei professionisti sia curato lo svilupparsi di un’attenzione propriocettiva costante, in certo modo automatica e istintiva.
Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Spagyrica
l'etica dello shiatsu come valore sociale
Autore: Andrea Mascaro
Il concetto di etica ha connotazioni molto fluide, a seconda del significato che ognuno gli conferisce in ragione della propria cultura di riferimento. Quello che porto dentro l’ho appreso attraverso la pratica della meditazione Vipassana: un comportamento lo si può considerare etico quando nasce da una mente ferma.
Non sono un insegnante di meditazione perciò lo proverò a spiegare a partire dalla mia esperienza maturata fino a questo preciso momento nel quale sto scrivendo: una mente ferma non significa determinata nel perseguire uno scopo, bensì non oscillante fra pensieri e fantasie devianti rispetto al momento presente, “ferma” diventa pertanto sinonimo di “aderente alla realtà”, e una mente aderente alla realtà consente di “vederla” con chiarezza e lucidità, per quella che è e non per come la immaginiamo; arrivare a “vedere con chiarezza” equivale a liberarsi dai condizionamenti pregressi, per lo più inconsci, che ci portano ad interpretare i fenomeni nel modo che consideriamo l’unico possibile, mentre, con un minimo di attenzione ed onestà intellettuale, dovremmo ammettere che è solo una delle possibili variabili interpretative.
Ma interpretare significa orientare conseguentemente le nostre decisioni, per cui la nostra visione delle cose, oltre che essere condizionata da comportamenti passati, è condizionante verso gli sviluppi futuri, senza che noi ne abbiamo la minima consapevolezza.
L’obiettivo virtuoso è sentirsi responsabili del nostro agire e della nostra vita, anche quando ci
consideriamo vittime di qualcosa o di qualcuno.
È un’affermazione questa che può apparire difficile da comprendere fino in fondo, ed anche fuorviante se la si associa al senso di colpa, come appunto siamo “abituati” a fare. Essere responsabili non vuol dire essere colpevoli di qualcosa, bensì essere capaci di rispondere di qualcosa: si sottolinea la parola “responso”, proprio per evocare il “responso dell’oracolo”, attribuendogli quindi un valore molto più profondo dell’accezione quotidiana.
Per entrare nel ragionamento non importa essere buddisti, ma basta appellarsi all’intelligenza universale e laica verso le cose, e provare così ad immaginarsi parte integrante di un sistema, dove ogni singolo piano sia interconnesso agli altri e dove quindi ogni singola parte concorra, nel micro, al funzionamento del macro. Se per esempio uccido un’ape, influenzo, seppur in minimissima parte, il sistema di impollinazione dei fiori e quindi la fruttificazione, solo che l’effetto è talmente diluito che non riesco ad averne percezione; questo non mi rende un pericolo per l’umanità e non deve condurmi verso atteggiamenti ultra ortodossi, però se continuo a non rendermi conto degli effetti di ogni mio gesto, perché la mia mente è “distratta”, posso arrivare a rendermi complice nella creazione di un danno ben più evidente, inconsapevole ma responsabile. I giornali ci offrono quotidianamente esempi di “potenziali” danni non percepiti sul momento.
Tutto questo accade in ogni istante della nostra vita.
Prendiamo in prestito i recenti studi di epigenetica (cfr. La biologia delle credenze di Bruce Lipton),
i quali affermano che, piuttosto che controllarci, i nostri geni sono sotto il controllo di influenze ambientali al di fuori delle cellule, inclusi i pensieri e le nostre credenze. Questo prova che non siamo degli “automi genetici” vittime di un’eredità biologica, bensì siamo i co-creatori della nostra vita e della nostra biologia. Ovvero, per dirla in altri termini, siamo “responsabili” di noi stessi, ivi compreso il nostro stato di salute, solo che non ne abbiamo coscienza.
Ma possiamo adottare anche una riflessione filosofica fra le tante: il filosofo tedesco Gunther Anders (1902-1992) teorizzò quella che lui definì “la discrepanza prometeica” (Promethéus “colui che riflette prima”). Il suo pensiero si forma in un’epoca nella quale il tema del nucleare era un tema sensibile e lo portò a considerare la necessità di immaginare la ricaduta del proprio agire, da parte dell’operaio addetto alla produzione di piccole parti da assemblare poi in un ordigno nucleare. Anders affermava il dovere (giuramento ippocratico) di “immaginare” la ricaduta delle proprie azioni, perché il rimanere volontariamente nell’ignoranza rende responsabili di ciò che concorriamo a creare, anche se apparentemente distante da noi.
Invece di ingannare la coscienza dell’uomo, una società sana la dovrebbe allenare a “vedere la realtà”, perché rappresenta l’argine naturale verso l’arroganza distruttiva e prevaricante che l’essere umano ha verso ogni cosa diversa da lui.
Comprendere questo bisogno aiuta a comprendere l’utilità sociale di tutte quelle discipline che hanno proprio questa finalità: rendere coscienti.
Io pratico ed insegno lo Shiatsu, quindi mi rivolgerò alle sue qualità.
Lo Shiatsu (così come molte discipline corporee olistiche) ha nel suo DNA questa attenzione verso
l’interno a cominciare proprio dall’operatore. Un operatore che intenda sostenere il disagio di
un altro individuo, lavorerà su di sé per rendere il proprio intervento prudente e il meno manipolatorio possibile, così da non interferire arbitrariamente sull’interno dell’altro; in altri termini non si sostituirà al personale progetto di salute della persona ma anzi lo sosterrà con responsabilità, senza confonderlo col proprio, tenendo appunto un comportamento etico.
Lavorare su di sé significa “immergersi” nella propria struttura energetica, percependola,
conoscendola, sviluppando parallelamente un “contatto” dell’altro più neutro possibile, senza
orientare e/o giudicare in ragione di una supposta giusta visione delle cose: ogni volta che cerchiamo di sostituirci all’altro stiamo solo proiettando noi stessi su di lui, e tutto ciò non è etico,
anche se spesso pensiamo che lo sia.
Intraprendere un percorso Shiatsu conduce quindi verso una progressiva riconnessione con se stessi, che muta le reazioni in azioni: “vedere” il condizionamento del nostro agire ci pone su un piano di libera scelta, quindi nella possibilità di assumercene coscientemente la responsabilità. Riconnettersi vuol dire andare in profondità e sottrarsi al piano meccanicistico, conflittuale e turbolento, tipico della superficie, che domina invece la nostra quotidianità.
Ovviamente ciò non ci salverebbe dalle crisi, perché ogni cambiamento nasce sempre da una crisi, ma l’etica porterebbe ad una spontanea accoglienza delle istanze dell’altro, non imposta da regole o morali, con un atteggiamento naturale verso la vita, come consapevolezza del fatto che l’altro è vitale per noi, è una risorsa, molto di più di quel che possiamo razionalmente pensare: distruggereste volontariamente una parte del vostro corpo illudendovi che questo non avrebbe conseguenze sul resto? Eppure facciamo le guerre e inquiniamo i fiumi.
Viviamo in perenne “distrazione”, verso gli altri e verso noi stessi, solo perché non ci sforziamo di “vedere” l’origine delle nostre azioni, né, e sarebbe forse anche più facile, immaginiamo la ricaduta delle stesse. E anche qualora le immaginiamo, ci siamo ormai talmente allontanati da un senso etico dell’esistere, che le nocività che creiamo a noi e agli altri le consideriamo “danni collaterali” necessari, se non addirittura normali.
Lo Shiatsu, come tutte le discipline affini ad esso per principi e finalità, va quindi tutelato e conservato, perché benefico per il genere umano.
www.shiatsuirte.it/l-etica-dello-shiatsu-come-valore-sociale/
Il concetto di etica ha connotazioni molto fluide, a seconda del significato che ognuno gli conferisce in ragione della propria cultura di riferimento. Quello che porto dentro l’ho appreso attraverso la pratica della meditazione Vipassana: un comportamento lo si può considerare etico quando nasce da una mente ferma.
Non sono un insegnante di meditazione perciò lo proverò a spiegare a partire dalla mia esperienza maturata fino a questo preciso momento nel quale sto scrivendo: una mente ferma non significa determinata nel perseguire uno scopo, bensì non oscillante fra pensieri e fantasie devianti rispetto al momento presente, “ferma” diventa pertanto sinonimo di “aderente alla realtà”, e una mente aderente alla realtà consente di “vederla” con chiarezza e lucidità, per quella che è e non per come la immaginiamo; arrivare a “vedere con chiarezza” equivale a liberarsi dai condizionamenti pregressi, per lo più inconsci, che ci portano ad interpretare i fenomeni nel modo che consideriamo l’unico possibile, mentre, con un minimo di attenzione ed onestà intellettuale, dovremmo ammettere che è solo una delle possibili variabili interpretative.
Ma interpretare significa orientare conseguentemente le nostre decisioni, per cui la nostra visione delle cose, oltre che essere condizionata da comportamenti passati, è condizionante verso gli sviluppi futuri, senza che noi ne abbiamo la minima consapevolezza.
L’obiettivo virtuoso è sentirsi responsabili del nostro agire e della nostra vita, anche quando ci
consideriamo vittime di qualcosa o di qualcuno.
È un’affermazione questa che può apparire difficile da comprendere fino in fondo, ed anche fuorviante se la si associa al senso di colpa, come appunto siamo “abituati” a fare. Essere responsabili non vuol dire essere colpevoli di qualcosa, bensì essere capaci di rispondere di qualcosa: si sottolinea la parola “responso”, proprio per evocare il “responso dell’oracolo”, attribuendogli quindi un valore molto più profondo dell’accezione quotidiana.
Per entrare nel ragionamento non importa essere buddisti, ma basta appellarsi all’intelligenza universale e laica verso le cose, e provare così ad immaginarsi parte integrante di un sistema, dove ogni singolo piano sia interconnesso agli altri e dove quindi ogni singola parte concorra, nel micro, al funzionamento del macro. Se per esempio uccido un’ape, influenzo, seppur in minimissima parte, il sistema di impollinazione dei fiori e quindi la fruttificazione, solo che l’effetto è talmente diluito che non riesco ad averne percezione; questo non mi rende un pericolo per l’umanità e non deve condurmi verso atteggiamenti ultra ortodossi, però se continuo a non rendermi conto degli effetti di ogni mio gesto, perché la mia mente è “distratta”, posso arrivare a rendermi complice nella creazione di un danno ben più evidente, inconsapevole ma responsabile. I giornali ci offrono quotidianamente esempi di “potenziali” danni non percepiti sul momento.
Tutto questo accade in ogni istante della nostra vita.
Prendiamo in prestito i recenti studi di epigenetica (cfr. La biologia delle credenze di Bruce Lipton),
i quali affermano che, piuttosto che controllarci, i nostri geni sono sotto il controllo di influenze ambientali al di fuori delle cellule, inclusi i pensieri e le nostre credenze. Questo prova che non siamo degli “automi genetici” vittime di un’eredità biologica, bensì siamo i co-creatori della nostra vita e della nostra biologia. Ovvero, per dirla in altri termini, siamo “responsabili” di noi stessi, ivi compreso il nostro stato di salute, solo che non ne abbiamo coscienza.
Ma possiamo adottare anche una riflessione filosofica fra le tante: il filosofo tedesco Gunther Anders (1902-1992) teorizzò quella che lui definì “la discrepanza prometeica” (Promethéus “colui che riflette prima”). Il suo pensiero si forma in un’epoca nella quale il tema del nucleare era un tema sensibile e lo portò a considerare la necessità di immaginare la ricaduta del proprio agire, da parte dell’operaio addetto alla produzione di piccole parti da assemblare poi in un ordigno nucleare. Anders affermava il dovere (giuramento ippocratico) di “immaginare” la ricaduta delle proprie azioni, perché il rimanere volontariamente nell’ignoranza rende responsabili di ciò che concorriamo a creare, anche se apparentemente distante da noi.
Invece di ingannare la coscienza dell’uomo, una società sana la dovrebbe allenare a “vedere la realtà”, perché rappresenta l’argine naturale verso l’arroganza distruttiva e prevaricante che l’essere umano ha verso ogni cosa diversa da lui.
Comprendere questo bisogno aiuta a comprendere l’utilità sociale di tutte quelle discipline che hanno proprio questa finalità: rendere coscienti.
Io pratico ed insegno lo Shiatsu, quindi mi rivolgerò alle sue qualità.
Lo Shiatsu (così come molte discipline corporee olistiche) ha nel suo DNA questa attenzione verso
l’interno a cominciare proprio dall’operatore. Un operatore che intenda sostenere il disagio di
un altro individuo, lavorerà su di sé per rendere il proprio intervento prudente e il meno manipolatorio possibile, così da non interferire arbitrariamente sull’interno dell’altro; in altri termini non si sostituirà al personale progetto di salute della persona ma anzi lo sosterrà con responsabilità, senza confonderlo col proprio, tenendo appunto un comportamento etico.
Lavorare su di sé significa “immergersi” nella propria struttura energetica, percependola,
conoscendola, sviluppando parallelamente un “contatto” dell’altro più neutro possibile, senza
orientare e/o giudicare in ragione di una supposta giusta visione delle cose: ogni volta che cerchiamo di sostituirci all’altro stiamo solo proiettando noi stessi su di lui, e tutto ciò non è etico,
anche se spesso pensiamo che lo sia.
Intraprendere un percorso Shiatsu conduce quindi verso una progressiva riconnessione con se stessi, che muta le reazioni in azioni: “vedere” il condizionamento del nostro agire ci pone su un piano di libera scelta, quindi nella possibilità di assumercene coscientemente la responsabilità. Riconnettersi vuol dire andare in profondità e sottrarsi al piano meccanicistico, conflittuale e turbolento, tipico della superficie, che domina invece la nostra quotidianità.
Ovviamente ciò non ci salverebbe dalle crisi, perché ogni cambiamento nasce sempre da una crisi, ma l’etica porterebbe ad una spontanea accoglienza delle istanze dell’altro, non imposta da regole o morali, con un atteggiamento naturale verso la vita, come consapevolezza del fatto che l’altro è vitale per noi, è una risorsa, molto di più di quel che possiamo razionalmente pensare: distruggereste volontariamente una parte del vostro corpo illudendovi che questo non avrebbe conseguenze sul resto? Eppure facciamo le guerre e inquiniamo i fiumi.
Viviamo in perenne “distrazione”, verso gli altri e verso noi stessi, solo perché non ci sforziamo di “vedere” l’origine delle nostre azioni, né, e sarebbe forse anche più facile, immaginiamo la ricaduta delle stesse. E anche qualora le immaginiamo, ci siamo ormai talmente allontanati da un senso etico dell’esistere, che le nocività che creiamo a noi e agli altri le consideriamo “danni collaterali” necessari, se non addirittura normali.
Lo Shiatsu, come tutte le discipline affini ad esso per principi e finalità, va quindi tutelato e conservato, perché benefico per il genere umano.
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I 5 ELEMENTI.
NUTRIZIONE ENERGIA E SALUTE NELLA PRIMA INFANZIA